Un viaggio nel mondo della moda sostenibile: indossa il futuro che desideri

Un viaggio nel mondo della moda sostenibile: indossa il futuro che desideri

Un viaggio nel mondo della moda sostenibile: indossa il futuro che desideri

Per produrre una T-shirt in cotone sono necessari 2.700 litri d’acqua e non è detto che venga utilizzata più di qualche ora, vittima di una dinamica mentale di fast fashion. Consumiamo 26 kg di capi l’anno, 11 kg dei quali devono essere smaltiti e solo l’1% riesce ad essere riconvertita in nuovi capi, il resto finisce nelle discariche.

L’industria della moda è la seconda al mondo per inquinamento e i brand del settore lo hanno capito, prodigandosi per intraprendere iniziative e buone abitudini che consentono di ridurre il consumo di materie prime e fare bene all’ambiente.

Le certificazioni

Secondo una ricerca condotta da Pwc Italia, si evince che il mercato mondiale della moda sostenibile che, nel 2019 valeva 5,23 miliardi di euro, sia destinato a raggiungere i 6,8 miliardi di euro nel 2023, 8,08 miliardi di euro nel 2025 e 12,5 miliardi di euro nel 2030, ossia una crescita del +139% in quasi un decennio.

Attualmente, le certificazioni di sostenibilità relative al fashion sono oltre 100. Delle quali, più dell’ 80% verterebbe su caratteristiche di prodotti e la loro composizione dei materiali, e meno del 20% atterrebbe ad illustrarne i processi operativi. Di queste certificazioni, ancora poco spazio verrebbe riservato a tematiche ambientali e problemi di ordine sociale collegati.

Tra tutte le aziende che hanno abbracciato progetti sostenibili, ve ne è oltre la metà, che si mostra attenta alla questione del cambiamento climatico, in particolar modo, riguardo alla riduzione delle emissioni di CO2 e poi del reperimento ed impiego delle materie prime. Ancora, per ciò che attiene allo smaltimento dei rifiuti, è possibile notare come, la totalità di queste imprese, ne facciano menzione, ma il 48% di esse, è disposta ad illustrare le proprie attività in materia di salute, sicurezza e personale, esibendo un rendiconto generico.

Lo scenario in Italia

Nell’industria dell’abbigliamento di oggi, la predominanza dei materiali petrolchimici, come poliestere, nylon e altre fibre sintetiche, rappresenta oltre il 60% di tutte le fibre utilizzate annualmente. Negli ultimi 15 anni, la richiesta di poliestere è raddoppiata, superando di gran lunga il cotone come materiale tessile più prodotto. Nonostante le sue peculiarità produttive, il cotone rimane la seconda fibra più utilizzata. Queste osservazioni sono state fatte da ASviS durante un’audizione presso il Senato della Repubblica sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

ASviS, insieme alla Siena Advanced School on Sustainable Development, ha evidenziato come la produzione di filati e tessuti a partire da scarti organici presenti in Italia possa offrire una soluzione efficace per creare filiere innovative, garantendo l’utilizzo di materiali di alto valore completamente Made In Italy in ogni fase della produzione, seguendo il concetto di bioeconomia circolare. Questo approccio si basa sull’utilizzo di risorse biologiche, combinando il settore agricolo e forestale con le biotecnologie per la produzione di energia e materiali.

I residui vegetali provenienti dalle colture alimentari, solitamente lasciati a decomporre o bruciati, rappresentano una risorsa preziosa che può essere trasformata in nuovi materiali.

Tra le azioni raccomandate da ASviS, vi è il potenziamento delle attività di progettazione per il riciclo, poiché molti prodotti attuali non possono essere riparati a causa della loro progettazione. Si potrebbe anche introdurre l’obbligo di riutilizzo e la mappatura delle giacenze di produzione, noto come “deadstock”. Attualmente, si stima che tessuti inutilizzati per un valore superiore a 120 miliardi di dollari giacciano nei magazzini di tutto il mondo, spesso finendo per essere bruciati o distrutti.

Inoltre bisogna concentrare le proprie risorse in incentivi per le start-up e le imprese che adottano il concetto di upcycling (riuso creativo) e restyling come modello di business, utilizzando deadstock o capi giunti al termine del ciclo di vita come materia prima per la produzione di nuovi prodotti. Da sottolineare che anche le grucce hanno un impatto significativo, poiché l’85% di esse finisce in discarica.

La moda ecosostenibile, una nuova prospettiva

In un momento storico in cui le aziende rivolgono un’attenzione crescente all’ambiente, alle comunità, al benessere delle persone e alle culture locali, la moda ecosostenibile si inserisce in una definizione più ampia. Questo concetto è caratterizzato dall’integrazione dello sviluppo tecnologico e dell’innovazione, capaci di generare modelli ancora più responsabili nei confronti del pianeta e delle persone. Ad esempio, la moda ecosostenibile sostiene l’occupazione femminile, favorisce la crescita professionale dei lavoratori del settore, promuove l’istruzione dei bambini e attua specifiche azioni per la protezione dell’ecosistema. Un esempio in tal senso è il brand inglese People Tree, che basa la produzione dei suoi capi su materiali eco-friendly e responsabili.

Le fibre tessili ecologiche costituiscono un elemento fondamentale della moda sostenibile. Elementi come la canapa sono di origine naturale e la filiera produttiva, dalla coltivazione alla lavorazione del tessuto, non richiede l’uso di sostanze nocive per l’ambiente. Materiali simili per sostenibilità sono il lino e la juta. Al contrario, il cotone ha un impatto ambientale significativo; per tale ragione, esistono oggi coltivazioni di cotone biologico, altrettanto delicate ma a impatto ridotto. Inoltre, è possibile utilizzare il cotone riciclato, ottenuto dai rifiuti di cotone raccolti prima e dopo il consumo, per realizzare una moda circolare.

Tra le fibre artificiali eco-compatibili vi sono il bamboo, il lyocell certificato Tencel, il modal certificato Tencel e l’orange fiber, una fibra derivata dagli scarti delle arance. In Sicilia, alcune aziende utilizzano le bucce degli agrumi locali per produrre questa fibra. Infine, vi sono le fibre sintetiche ottenute dal riciclo della plastica, come New life, o provenienti dalle reti da pesca e dai tappeti.